Heri dicebamus. Cause remote (e recenti) di un dialogo difficile sulle prospettive metodologiche di una canonistica non più subalterna al centralismo della Curia romana - di Francesco Zanchini

Avvicinamento morbido, epperò rilevantissimo all’assoluto kantiano dell’imperativo categorico, è senza dubbio l’idea su cui poggia il ripudio del fondamentalismo, e con esso la graduale ricezione di una prassi di tolleranza (tendente a orizzonti sempre più ampi) nell’etica cattolica contemporanea: “norma prossima dell’azione non è la coscienza retta ma è la coscienza certa, anche se per caso erronea”; idea, mediante la quale distinguere tra foro interno e esterno è azione che si carica di un significato decisivo. Chi la rifiuta, non è cattolico. E che questa elasticità sia condizione per l’evangelicità di ogni cristianesimo storico lo mostra la tolleranza autorizzata agli albori del concilio, seppure in peculiari situazioni (dal S. Uffizio o dalla Penitenzieria, poco importa) alla presenza di credenti granitici nel comitato centrale di partiti dichiaratamente atei. (Continua).