Disciplinarità confessionale e stato di diritto -
È “dato reale di esperienza” che – nel vivo della fenomenologia comunitaria – le Confessioni religiose [quali prendono corpo e si consolidano dintorno a un Credo unificante] vengono in campo con una «entità effettuale loro propria». Esse – nella loro puntuale concretezza – presentano il carattere oggettivo (diremmo “morfologico”) di «formazioni sociali auto-sufficienti»: qualificate – per come ci si parano dinanzi – dall’essere «espressione di forze aggregative ingenite». È dato reale di esperienza che – nella ordinarietà dei casi – in questa o in quella Confessione [in questa o in quella Religione] non «si entra» per atto associativo di propria autonoma elezione: in grazia d’una qualche “determinazione di tipo negoziale”. Piuttosto «ci si nasce»: «ci si trova incardinati ». E se ne avverte il non eludibile richiamo. Se ne avverte il fascino, come d’un che di arcano, di «assoluto»: ricco di tanta suggestione numinosa (di tanta forza d’attrazione) da trascendere la nostra capacità dispositiva. (Continua)
L'autore
Professore emerito di Storia del Diritto canonico della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “La Sapienza”.
Note
Testo provvisorio della relazione al Convegno “La Carta e la Corte” che si terrà presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara il 26 e 27 ottobre 2007.